mercoledì 13 ottobre 2010

«Nessun dolore»: intervista a Domenico Di Tullio

Fonte: Ideodromo CasaPound

1. Allora, Domenico, per non sbagliare partiamo da un evergreen della banalità giornalistica: quanto c’è di te nella voce narrante di Nessun dolore?

Ritengo che ogni romanzo sia espressione della personalità di chi lo scrive. Certamente fra i personaggi del libro uno in particolare mi è più vicino per età, professione e quartiere di Roma che abita.


2. Un romanzo su CasaPound che esce per Rizzoli: abbiamo vinto la rivoluzione e non ce ne siamo accorti oppure siamo semplicemente diventati parte del paesaggio di un sistema che ci ha già «digeriti»?

Non so se CasaPa’ abbia vinto la rivoluzione, certamente esiste un forte interesse per l’immaginario che esprime: è una fascinazione istintiva, che supera il pregiudizio e genera curiosità. Ciò che attrae è il modo di vivere, l’immagine e lo stile che esprimono le sue iniziative, persino più delle battaglie politiche. Questo libro è certamente la prova di questo interesse, oltreché del coraggio editoriale che bisogna riconoscere a chi lo ha voluto pubblicare. Ogni giorno, del resto, aumenta l’interesse verso il mondo delle tartarughe, lo stupore che un carapace così robusto e diverso dal solito contenga un’anima leggera e deliziosa.


3. Uno dei personaggi del romanzo è un «vecchio» militante che ha un rapporto ambivalente con la novità politica e quasi antropologica dei ragazzi del Blocco studentesco. Senza abbandonarci allo spoiler gratuito, puoi dirci qualcosa in più di questa figura?

Ho voluto costruire un personaggio che racchiudesse in sé tutte le contraddizioni di molti dei militanti della destra radicale prima di CasaPound. Un archetipo di quello che erano gli attivisti quindici anni fa, confusi tra la necessità di superare vecchi schemi e imbarazzanti eredità ideologiche, incapaci di distinguere la differenza tra forma e sostanza, tra tradizione e nostalgia, spesso prima sfruttati e poi sacrificati da chi ha abbandonato velocemente il bomber per cucirsi addosso un doppio petto su misura. Molti di questi «vecchi» militanti hanno successivamente trovato in CP la sintesi perfetta e pacificatrice, altri ancora raccontano di quanto ai loro tempi fosse tutto migliore e diverso, sempre reietti, sempre marginali, in fondo sprecati e inutili.


4. Rimaniamo nella dialettica old school/new school: la tua conoscenza dell’ambiente politico di «destra radicale» data ormai dagli anni ’80, i cambiamenti sono stati molteplici ma diresti che hanno finito con l’investire lo stesso tipo umano che ne fa parte? In altre parole si può parlare di mutazione antropologica, almeno in dati ambiti?


La mutazione antropologica negli ultimi dieci anni è stata evidente, propiziata da un clima più favorevole e dallo sviluppo dei mezzi di comunicazione diretta, che certamente hanno influito e fatto crescere una parte consistente di quella che viene ancora definita la destra radicale. C’è da dire che grande importanza ha rivestito il fatto di avere dei luoghi fisici, occupazioni e spazi in altro modo raggiunti, che sono diventati veri e propri laboratori di cultura e azione, sia politica che, soprattutto, metapolitica.


5. Di tanto in tanto, in Nessun dolore, compare la Bellezza: kratofania che bagna di freschezza le menti e i corpi, vero e proprio «stato di grazia» che sopraggiunge a strappare i protagonisti dalla banalità del mondo degli uguali. Chi conosce il nostro universo sa di cosa parliamo. Agli «altri», a chi leggerà il romanzo senza conoscere il mondo che esso descrive, come racconteresti l’essenza della Bellezza?

La bellezza è l’elettricità che ti pervade, uno tra mille e unito a mille altri, quando riconosci il tuo amore, la tua essenza, il tuo destino. Non so spiegare la bellezza, mi limito a raccontare ciò che, credo, la maggior parte di noi ha la capacità di riconoscere. Nella quotidianità di CasaPound è presente un’attitudine particolare alla ricerca della bellezza, che diventa una vera e propria modalità d’azione: questa pervade le iniziative, i rapporti umani, le scelte culturali ed è una spinta costante, un incentivo, una motivazione fortissima e inebriante.


6. Molto bella la descrizione del «corpo-macchina», di queste membra che si apprestano a compiere uno sforzo fisico che non è più «sport» ma già quasi «rito». C’è una specifica via alla politica attraverso la corporeità che è tipica di CasaPound?

L’azione di CasaPound è sempre molto fisica, la corporeità ha una grandissima importanza tra i suoi militanti e simpatizzanti: le decine di associazioni sportive nate sotto l’egida della tartaruga, i tatuaggi simbolici immediatamente riconoscibili, il rito fisico che spesso accompagna i momenti di passaggio sono le manifestazioni naturali di una concezione tradizionale che vede il benessere del corpo coincidere con quello spirituale. Non è un caso il grande successo degli sport da combattimento tra i militanti di tutte le età, che educano al controllo, alla resistenza al dolore contingente, al rispetto per le regole e l’avversario, al coraggio.

 Quest’ultimo diviene una qualità spirituale e metafisica, uno stile di vita ove corporeità e spirito si fondono senza soluzione di continuità.


7. CasaPound e il «mondo esterno»: in particolare in certi filoni pare emergere un nuovo protagonismo, laddove un tempo la percezione di una condizione di esclusione ha avuto effetti pressoché immobilizzanti... Il tuo romanzo in qualche modo parla anche di questo, no?

Certamente l’attenzione facilita la comunicazione attiva! CasaPound non è comunque un ghetto nel quale rinchiudersi e autocompiacersi, ma un avamposto nel mondo, una posizione da mantenere per slanciarsi alla conquista del nuovo. Il giovane Blocchetto non si limita a ritagliare un suo spazio rappresentativo all’interno di un educato consesso di mini politicanti scolastici, vuole riprendersi tutto un mondo che gli appartiene di diritto; il militante e il simpatizzante della Tartaruga vive con serenità e determinazione una lotta quotidiana per riconquistare tutto ciò che serve la sua visione della vita, non una riserva indiana né un giardinetto in qualche paradiso fiscale.


8. Un altro elemento pare essere cambiato in peso e consistenza: quello della musica in ambito politico, che si è spostata dallo sfondo al primo piano.... La musica è un elemento che ha caratterizzato i primordi di CP. La nostra convinzione personale è che rappresenti al meglio l’ambito nel quale il movimento delle tartarughe eccelle, per ora: quello metapolitico e culturale.

È una convinzione che condivido pienamente: il messaggio delle tartarughe si esprime al meglio attraverso i percorsi metapolitici e l’attitudine alla forma movimento, estremamente fluida e libera, aperta e ricca di iniziative e provocazioni intelligenti. La musica è l’origine del gruppo umano che ha fondato CasaPound e la sua espressione più condivisibile e universale. Il primo manifesto delle Tartarughe è stato sicuramente un cd degli Zetazeroalfa e anche l’ultimo e più recente.


9. L’attuale mondo digitale sta rendendo le forme di appartenenza sempre più «liquide», evanescenti... l’appartenenza che invece esce fuori dal romanzo pare avere tutt’altra concretezza...

Il concetto di appartenenza che racconto coincide esattamente con la militanza: oggi è difficile spiegarlo a chi non ha avuto esperienza diretta dell’unità e della coesione che vivono i ragazzi di CasaPound, della totale dedizione, del sacrificio e della compartecipazione delle loro azioni. La comunicazione digitale offre la possibilità di essere nello stesso istante in mille posti diversi, di sprecare mille vite diverse al giorno, di impegnarsi in cento discussioni contemporaneamente, senza essere mai se stessi, senza versare una sola stilla di sudore. La militanza dei ragazzi di CP è una testimonianza costante e veritiera della loro essenza, ciò che convince e conquista chiunque li veda all’opera.


10. Abbiamo iniziato con il classico «quanto c’è di te nel tuo libro», finiamo con un altro luogo comune: prossimi progetti letterari in cantiere?

Due o tre, beneficiando dei tempi lunghi che mi posso permettere, visto che rimango uno scrivente non professionista. Tra gli altri, mi piacerebbe scrivere un libro che racconti delle esperienze professionali e umane di una particolare declinazione di avvocato: il difensore d’ufficio. Alla maggior parte verrà in mente il pigro avvocato che si rimette alla clemenza della corte, tuttavia la realtà è molto diversa e spesso è grazie all’abnegazione professionale di questi professionisti bistrattati e malpagati che la giustizia italiana non crolla su se stessa. Nel frattempo, sto collaborando a un progetto giornalistico collettivo che si chiama Rashomon come il film di Kurosawa, che vuole raccontare in forma di diario e blog, quindi in soggettiva e in presa diretta, scenari di conflitto etnico e politico dal basso, raccogliendo testimonianze e offrendo immagini senza filtri. A metà settembre siamo stati in Kosovo, nuovo Stato a maggioranza musulmana albanese e radicatissima minoranza serba, che rappresenta bene la realtà balcanica, lacerato cuore dell’Europa più vicina all’Oriente.



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